COSA SUCCEDEREBBE AI RISPARMI IN CASO DI USCITA DALL’EURO
Molti “autorevoli commentatori” sostengono che in caso di uscita dell’Italia dall’euro, i risparmi subirebbero delle gravi perdite per effetto della svalutazione che ne seguirebbe. Per di più, usano questo tipo di affermazioni per cercare di incutere terrore verso l’opinione pubblica (in questo caso i risparmiatori), al fine di veicolare il consenso a favore della permanenza dell’Italia nella moneta unica euro. Il tema dell’euro, oltre ad essere di estrema importanza, è anche di difficile comprensione, poiché presuppone delle conoscenze economiche che non tutti hanno o possono avere. Ecco quindi che esercitare pressioni sull’opinione pubblica evocando scenari apocalittici, appare un atto censurabile sotto ogni punto di vista, solo per usare un eufemismo.
Chi scrive, pur lodando il dibattito (quello serio) che eminenti economisti sono stati capaci di stimolare aprendo gli occhi all’opinione pubblica meno preparata e meno sensibile al tema, teme che questo grande impegno porti a ben poco, in termini concreti. Per il semplice motivo che noi non abbiamo una classe politica capace di assumere una scelta così importante, che peraltro distruggerebbe l’enorme investimento del patrimonio politico che la creazione dell’euro ha presupposto negli ultimi 50 anni di storia politica europea. L’omertà (e l’ignoranza) che sovrasta la scena politica italiana sul tema euro ne costituisce esempio tangibile. Come dire: sono tutti allineati e coperti a difesa dell’indifendibile. Forse per loro personale tornaconto, o forse per mantenere più a lungo possibile lo status quo della nomenclatura politica europea. Ovviamente fin quando non si giungerà alla catastrofe, che a mio avviso, perdurando simili condizioni, non tarderà ad arrivare.
Quindi, credo che l’Italia, anziché governare un eventuale uscita dall’euro, sarà destinata a subirla nel caso in cui qualche altro paese (magari fondatore) dovesse sganciarsi per primo dall’unione monetaria, provocando la dissoluzione della moneta unica. Mi viene in mente la Francia, visto che da quelle parti il dibattito sul tema euro è molto in avanti rispetto che in Italia, ed esiste un partito no-euro che è dato favorito nei sondaggi. Detto questo, non appare affatto remota la possibilità che l’Italia si trovi a dover affrontare questa eventualità (quella della dissoluzione dell’euro) in maniera del tutto impreparata e senza un piano “B” che gli consenta di contrastare, per quanto possibile, lo shock che ne deriverebbe.
Ma tornando al tema di fondo di questo post, le cose non stanno proprio nei termini espressi dagli “autorevoli commentatori” di cui abbiamo accennato in apertura dell’articolo. Cerchiamo di capire perché, auspicando di farlo con più pragmatismo possibile.
Andrebbe anche osservato che l’interesse della Germania non è quello di affossare il cambio della nuova lira rispetto a quel che rimarrebbe dell’euro (ben poco credo) o rispetto al nuovo marco; se non altro perché, questo, oltre a mettere in serie difficoltà il comparto bancario tedesco esposto nei confronti del debito italiano, consentirebbe all’Italia di guadagnare consistenti quote di mercato sottraendole alla stessa Germania. Quindi non sarebbe affatto remota la possibilità che la Germania compri carta (lira) italiana, sostenendo sia il cambio che il valore dei titoli di Stato. Questo consentirebbe anche alle banche tedesche esposte sul debito italiano di assorbire progressivamente lo shock che eventualmente ne deriverebbe. Pertanto credo che sia interesse della Germania evitare che la lira svaluti di molto e in modo violento.
Ma se io non avessi questo tipo di esigenze (cioè l’esigenza di comprare una casa in Germania o trasferirmi per vacanza, studio o lavoro) e la mia esistenza si svolgesse in Italia così come le mie spese, la svalutazione rispetto al marco che deriverebbe da un ritorno alle valute nazionali, non mi colpirebbe affatto e sarebbe un fattore del tutto marginale. Specularmente, in caso di dissoluzione dell’euro e ritorno alle valute nazionali, è verosimile (certo) che la nuova lira si rivaluterebbe molto rispetto alla nuova dracma, magari del 20-25%, o forse più. Quindi, se io dovessi acquistare una casa in Grecia che prima mi sarebbe costata 100.000 euro (gli stessi che avevo in deposito sul conto corrente italiano), con la nuova lira (rivalutata del 20-25%) potrei comprarmi quella casa e anche un pezzo di una seconda casa, sempre che ne abbia bisogno. Oppure una casa più grande e di maggior valore. Discorso analogo si può osservare se dovessi recarmi in Grecia per vacanza o lavoro, perché è chiaro che acquisterei dracme ad un cambio per me più favorevole in conseguenza del fatto che la mia lira si è rivalutata rispetto alla Dracma.
Quindi, il discorso della svalutazione è del tutto relativo, perché la rivalutazione e la svalutazione generano rispettivamente guadagni o perdite a seconda dei casi, a seconda delle specifiche esigenze e a seconda dei comportamenti degli individui e degli agenti economici. Anche se, per una maggiore valutazione dell’impatto che potrebbe avere l’introduzione di una nuova lira in termini di svalutazione o rivalutazione si dovrebbe considerare anche il grado di apertura e interconnessione dell’economia italiana (e quindi anche gli scambi commerciali in entrata ed in uscita) verso quelle economie nei confronti delle quali la lira potrebbe svalutare o rivalutare, per poi tirare le somme.
Sul primo punto esistono autorevoli studi che affermano l’inesistenza di una correlazione diretta tra svalutazione ed inflazione. E i precedenti storici che riguardano il nostro paese confermano tale tesi. Ad esempio, nei due anni successivi l’introduzione dell’euro, la moneta unica si svalutò di circa il 20/25% nei confronti del dollaro e questa svalutazione non si tradusse in livelli alti di inflazione, che pertanto rimase sotto controllo. Andando ancor più indietro nel tempo, si potrebbe ritornare al 1992 e agli anni successivi, quando in Italia, a seguito dell’uscita dallo SME, la svalutazione fu assai più accentuata. Anche in questo caso, non vi fu alcuna fiammata inflazionistica, e, nonostante l’entità della svalutazione, l’inflazione che ne derivò fu del tutto contenuta (intorno al 5%), ben inferiore ai livelli che oggi vengono ipotizzati in caso di uscita dall’euro.
Proseguendo nel nostro ragionamento, credo che si possa concordare sul fatto che un eventuale eurexit produrrebbe delle tensioni sui mercati e quindi un aumento dell’avversione nei confronti dell’Italia da parte degli investitori esteri, che venderebbero titoli in portafoglio generando ribassi dei corsi azionari e obbligazionari. E anche in questo caso ci sono dei MA. E’ chiaro che, da un eventuale uscita dall’euro, le aziende orientate verso i mercati esteri ne trarrebbero un maggior vantaggio, poiché venderebbero i loro prodotti a prezzi più competitivi rispetto agli attuali. Quindi non è detto che queste subiscano dei deprezzamenti così consistenti, che comunque, se così fosse, dovrebbero essere recuperati in tempi relativamente brevi.
Discorso diverso (e anche più problematico), invece, riguarda quelle aziende (non solo quotate) con una forte esposizione debitoria estera, a fronte di contratti governati da leggi estere e quindi non soggette al diritto italiano. Considerata l’impossibilità di ridenominare questi contratti nella nuova lira, queste aziende si troverebbero a dover ripagare i loro debiti in una valuta (magari dollaro) rivalutata rispetto alla lira, e quindi credo che qualche serio problema lo avrebbero. Non è neanche detto che queste possano riassorbire il maggior onere derivante da debiti espressi in valuta estera (rivalutata, quindi) grazie ad un aumento dei ricavi per via di maggiori esportazioni come conseguenza di un cambio più favorevole. Quindi, a mio modesto avviso si dovrebbe intervenire con linee di credito dedicate o comunque con altre soluzioni idonee a smaltire il maggior onere sostenuto.
Ma non sarebbe da escludere l’ipotesi che una parte non del tutto inconsistente del sistema bancario potrebbe essere nazionalizzata, ripulita (dalle sofferenze), ristrutturata e poi rimessa sul mercato in tempi successivi, magari generando anche occasioni di profitto per lo Stato. La nazionalizzazione di alcune banche in difficoltà, a dire il vero, non sarebbe fatto remoto nemmeno rimanendo nell’euro, per via delle sofferenze che incombono sui bilanci delle banche; ammesso che il governo italiano riesca a trovare i soldi per ricapitalizzare un numero non del tutto trascurabile di banche che navigano in brutte acque e sempre ammesso che non voglia far pagare pegno agli azionisti, agli obbligazionisti, e ai depositanti, come i recenti orientamenti europei sembrano voler suggerire (Cipro docet).
Tuttavia giova anche segnalare il fatto che l’Italia, per gli investitori esteri, rappresenta anche un ottimo mercato di riferimento nel quale fare ottimi affari. Quindi non è affatto detto che gli investitori internazionali non possano avere un atteggiamento più mite rispetto a quello che, forse troppo facilmente, si è inclini a ritenere. Sotto questo punto di vista ritengo che un grande contributo dovrebbe giungere dalla politica e dai messaggi rassicuranti che i leaders europei saranno in grado di trasmettere, nell’interesse di tutti, nelle fasi immediatamente successive all’annuncio, auspicabilmente concordato.
Tornando al tema del risparmio e agli effetti che potrebbe determinare l’uscita dall’euro, possiamo sbilanciarci nel dire che molto dipenderà anche dal genere di investimento effettuato dal risparmiatore. Ad esempio, se si fossero acquistate obbligazioni, queste, nonostante una perdita di valore (prezzo) che potrebbero subire durante la loro vita (anche in virtù delle turbolenze che potrebbero manifestarsi sui mercati come conseguenza dell’uscita di qualsiasi Nazione della moneta unica, e quindi non solo dell’Italia), verrebbero comunque rimborsate a scadenza al prezzo determinato all’atto dell’emissione del titolo, cioè alla pari in genere.
Discorso diverso riguarda i titoli azionari che, per loro natura, essendo delle classi di investimento in via di principio più rischiose rispetto alle obbligazioni, incorporano la possibilità di perdite maggiori, la cui eventualità di verificarsi dovrebbe essere nota al risparmiatore che investe in questa tipologia di attività. Giova ricordare che già dal 2012, Banca Unicredit, in occasione dell’aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro, nel prospetto informativo dell’offerta di azioni, contemplò la possibilità che l’eventualità di una dissoluzione della moneta unica o più semplicemente di ritorno alla lira, avrebbe potuto incidere negativamente sul valore del titolo. Successivamente anche altre banche hanno seguito l’esempio di Unicredit nel dotarsi di precauzioni simili nell’ambito della documentazione ufficiale relativa ad operazioni straordinarie. Quindi, il rischio dovrebbe esser noto a chi investe in azioni o in titoli che incorporano già per loro natura la possibilità di oscillazioni, piccole o grandi che siano. Tuttavia, se è vero che una svalutazione della nuova lira potrebbe favorire l’espansione del ciclo economico, appare logico ritenere che le perdite potrebbero essere riassorbite in orizzonti temporali relativamente brevi, per effetto di un maggior vigore del ciclo economico. Ma questo aspetto è tutto da verificare,
Concludendo il nostro ragionamento, possiamo affermare che l’uscita dall’euro non sarà sicuramente una passeggiata e avrà dei costi ma anche dei benefici, riconducibili principalmente alle possibilità derivanti da una ritrovata autonomia monetaria e fiscale, che tuttavia dovrebbero essere attuate implementando comunque le riforme di cui l’italia ha bisogno. Nessuna persona dotata di buon senso si sognerebbe di affermare che l’eventuale uscita dalla moneta unica non avrebbe anche delle controindicazioni. Ma accanto a queste, andrebbero valutati anche i costi (a mio avviso superiori) che la permanenza nell’euro presuppone.
L’alternativa al non agire sarebbe un lungo e doloroso processo di impoverimento generalizzato, peraltro già in atto da diversi anni, che potrebbe anche accelerare viste le pessime condizioni in cui versa l’italia. Il risultato di questa inerzia sarebbe quello di giungere tra qualche anno alla stessa soluzione (cioè all’uscita dall’euro differita), ma con un tessuto produttivo e sociale molto più compromessi di quanto lo siano oggi, e con il risparmio degli italiani assai più ridotto rispetto ad oggi. Di conseguenza anche la capacità di reazione e di recupero dell’Italia sarebbe assai più limitata di quanto lo sia tuttora.
Evocare scenari apocalittici o affermare che i risparmi verrebbero distrutti, oltre a non fondarsi su alcun elemento scientifico certo e condivisibile, appare assai mistificatorio. Soprattutto alla luce del fatto che, anche permanendo nell’euro, non è affatto remota la possibilità che si possa giungere ad una ristrutturazione del debito pubblico (LEGGI: L’ITALIA PUO’ FALLIRE, ORA ANCHE PER LEGGE) con conseguenti perdite a carico dei risparmiatori. Senza poi dimenticare che molti politici italiani, personaggi della finanza e del mondo economico, sia italiani che di altre nazioni, per loro stessa ammissione, suggeriscono e sarebbero favorevoli all’introduzione di una imposta patrimoniale (anche da 400 miliardi di euro) finalizzata all’abbattimento del debito pubblico (LEGGI: TUTTI QUELLI CHE VOGLIONO I VOSTRI RISPARMI). Patrimoniale, neanche a dirlo, pagata dai risparmiatori. Questa si che sarebbe una vera e propria distruzione e sottrazione di ricchezza.
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Ottimo articolo, complimenti! Condivido in pieno.
Carolina Neri.
Sicuramente post interessante con spunti validi ma, essendo molto scettico sull’argomento (come forse sai) sono in disaccordo su diversi punti. Ma poco importa, ciò che è importante è, come dici tu, stimolare la discussione ed essere il più possibile credibili e realistici, senza mai dimenticare che non esiste una storia sull’argomento. Anzi, la storia la stiamo proprio costruendo noi.
Ci si vede presto.
CIAO
Danilo DT
Ciao Danilo,
mi sono note le tue posizioni. Ho cercato di approcciare la complessa questione nel modo più pragmatico possibile, cercando di non cadere nella retorica partigiana e senza costrutto che non avrebbe aggiunto nulla di nuova al dibattito, già complesso di suo. A mio avviso la questione è anche quella di cercare di comprendere i costi della attuale situazione e di questa inerzia. Nessuno può escludere una possibile ristrutturazione del debito pubblico. Come non si può escludere qualche forma di imposta patrimoniale più invasiva e distruttiva di quelle attuali. Questi aspetti,, nel dibattito, vengono spesso trascurati e ho cercato di dire la mia sperando di aver contribuito a rendere un buon servizio al lettore. Ti ringrazio per il commento che hai lasciato. Buona giornata e a presto.
troppe ipotesi, troppi “ammesso”, dobbiamo trovare una soluzione all’interno dell’Europa, creando una vera Unione, se poi fosse irrealizzabile…muoia Sansone con tutti i Filistei.
Chi crede che con la svalutazione l’economia italiana tornerà competitiva, è un illuso, non ha fatto i conti con la globalizzazione, con un’Italia assolutamente non appetita agli investimenti internazionali (andate a controllare le classifiche sull’efficienza degli Stati che vedono Singapore in testa da anni, con l’Italia sopravanzata da Stati del terzo mondo) e non sarà certamente una liretta svalutata a renderci competitivi con Stati che ormai hanno tecnologia avanzata e salari a 100/200 euro al mese.
Il discorso è troppo grande, io lo riassumerei con le parole che il comico Guzzanti faceva dire all’ex ministro Tremonti: “il cetriolo della globalizzazione gira per tutto il Mondo e stavolta è toccato a noi…” inoltre “siamo entrati in un circolo virtuoso al ribasso” e ci staremo per molto tempo, aggiungo io.
State sereni….e vae victis
Lo sostengo da tempo, ma la gente non capisce un tubo pensa di tornare alla vecchia lira, invece si dovrebbe fare il cambio 1 a 1…..1 lira equivale e 1 euro punto e basta…cii vuole tanto a capirlooooooo.
Si sempre, e rispondo sempre a tutti. Ma non riesco a capire a quale email si riferisce. Me la riproponga per cortesia. Saluti
Mah! Io dico che l’unico che dice cose sensate è stranamente un altro comico e precisamente Balasso, è l’unico che dice ciò che nessuno vuole sentire e non sono discorsi campati in aria. Qui il link dell’ultimo video la frase finale è emblematica: https://www.youtube.com/watch?v=d5Iu4ZcPHeA
Finalmente un’esposizione chiara e realistica di un’eventuale uscita dall’euro, senza il terrorismo tipico di certi giornali con enormi conflitti d’interessi.
Per quanto ricavato dalla lettura di quanto innanzi, posso affermare con molta esattezza che la nostra politica dovrebbe essere quella di uscita dall’euro, anche in considerazione di un fattore importantissimo che sopra non è menzionato, e cioè che essendo l’Italia uno dei più bei posti del mondo, ed avendo a disposizione ricchezze artistiche e culturali di pregio invidiate da quasi tutti i paesi del mondo, l’industria del commercio e del turismo dovrebbe fiorire ancor più in quanto quelli che verranno in Italia, e ne verranno molti proprio in relazione ai risparmi che otterrebbero utilizzando la loro moneta in Italia, in un certo qual senso, senza volerlo, rafforzerebbero anche l’economia italiana con spese eseguite con la loro moneta più forte della nostra, e che con la conservazione di essa avremo una maggiore valutazione anche della nostra moneta.
Non posso che condividere. Grazie per la visita e trascorra una buona serata
Lunghissimo articolo, anche fin troppo tecnico per un inesperto come me, ma una cosa piu’ di tutte mi ha lasciato perplesso : In tutto l’articolo non si cita nemmeno una volta il Petrolio, che guarda caso acquistiamo ancora in dollari, e lo stesso si puo’ dire anche per il Gas, anche lui acquistato per il 50% in rubli. E sottolineo anche il fatto che noi, purtroppo, non siamo un paese con grosse risorse di materie prime, anzi, direi proprio quasi zero. Quindi le chiedo : come acquisteremo tutte le materie prime che ora paghiamo in Euro ?
Caro Andres, faremo come fanno paesi come la Polonia (pil +3,3%) ed altri appartenenti all’UE ma fuori da questa maledetta “moneta” (che in realtà moneta non è), quali Ungheria (pil +3,4%), Gran Bretagna (pil +3,5%). Non mi risulta che vivano nelle caverne e vadano tutti in giro a piedi come tra poco faremo noi………………
Altri vantaggi sono facilmente deducibili dalla lettura di questo:
Paul E. De Grauwe*
No. 346, Maggio 2011
La Governance di una Fragile Eurozona
http://econocrash.altervista.org/la-governance-di-una-fragile-eurozona/
Ottimo post. Vorrei segnalare che in caso di ritorno a una valuta nazionale, i debiti privati con l’estero diventerebbero da una parte più onerosi come da lei descritto; dall’altra però ci sarebbe la possibilità che con un cambio svalutato i valori patrimoniali dei debitori recupererebbero. Se infatti prima questi non riuscivano a vendere titoli a causa di una moneta troppo forte con un cambio mutato potrebbero più facilmente vendere a investitori esteri e ripagare i debiti.
Come mai quando nel 1992 svalutarono la lira del 30% non ci fu nessuna inflazione? Come mai chi aveva dei risparmi non perdette alcun potere d’acquisto? La gente confonde la svalutazione con l’inflazione che sono due cose diverse.
Jack
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